martedì 5 maggio 2020

La "Nuova via della seta" è un accordo antinazionale. Va cancellato



Innanzitutto vediamo che cos'è la cosiddetta "Nuova via della seta". La Nuova via della seta (in cinese comunemente: 一带一路S, yī dài yī lù, un nastro una via) è un'iniziativa della Repubblica Popolare Cinese comunista, apparentemente per il miglioramento dei suoi collegamenti commerciali con i paesi nell'Eurasia e, sempre apparentemente, a vantaggio sia della Cina comunista che dei paesi europei coinvolti. Comprende le direttrici terrestri della "zona economica della via della seta" e la "via della seta marittima del XXI secolo" (in cinese: 丝绸之路经济带和21世纪海上丝绸之路, Sīchóu zhī lù jīngjìdài hé èrshíyī shìjì hǎishàng sīchóu zhī lù; nota anche in inglese come BRI, Belt and Road Initiative o OBOR, One belt, one road, ”una cintura una via”). Il governo italiano in carica presieduto da Giuseppe Conte e mediante l'operato del ministro degli esteri pentastellato Luigi Di Maio ha aderito a questa "Nuova via della seta". Ovvero, questo governo (da cui ci vergogniamo d'essere governati e crediamo che l'Italia non si meriti un governo come questo) ha sottoscritto un accordo che non soltanto non è vantaggioso per l'Italia (non stabilisce clausole vincolanti per le due controparti) ma, non ha nemmeno una natura squisitamente commerciale. Infatti, mira ad accrescere l’influenza politica ed economica del partito comunista cinese nella nostra Nazione. Xi Jinping aveva addirittura firmato un lunghissimo intervento di presentazione delle potenzialità di questo accordo su ‘Corriere della Sera’, intervento prontamente rilanciato nella sua stesura integrale dalla voce ufficiale (in lingua inglese) del Governo cinese, il ‘Global Times’. Intervento che merita davvero leggere, perché, al di là delle frasi di rito, Xi trasmette alcuni messaggi politicamente molto pesanti. il presidente Giuseppe Conte, alla Camera e al Senato, aveva difeso la "Nuova ia della seta", sottolineando che la firma non avrebbe cambiato la collocazione -atlantica dell’Italia. Invece, la "Nuova via della seta" è un progetto che punta ad allontanare l'Italia dalle sue alleanze atlantiche con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. "Un conto sono degli accordi commerciali specifici, un altro conto è firmare un memorandum d’intesa su un progetto che gli Stati Uniti, e non solo, ritengono avere anche fini politici", ha dichiarato il politologo Edward Luttwak. Mentre, il Consiglio per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti aveva mandato un chiaro messaggio all’Italia tramite il proprio account Twitter: "Appoggiare la Nuova Via della Seta conferirà legittimità all’approccio predatorio della Cina nell’ambito degli investimenti e non porterà alcun beneficio alla popolazione italiana". Dunque, l'obiettivo della "Nuova via della seta" non è quello di favorire lo scambio di merci. Noi pensiamo che insieme alla “Nuova via della seta” ci sia la promozione di un nuovo modello politico e sociale illiberale. Peccato che la cosiddetta "Nuova via della seta" per il ministro Di Maio sia, soltanto, "una grande opportunità per riequilibrare la bilancia commerciale". Ritornando dal tema sociale a quelli economici, inoltre, con la "Nuova via della seta" la Cina comunista è entrata oltre venti imprese private o partecipate nazionali. Senza contare i porti strategici, l’accordo ha coinvolto anche Snam, Cdp, Fincantieri, Eni, Enel, Unicredit e Banca Intesa. Un caso allarmante è quello dell’azienda statale Leonardo. Leonardo opera nell’ambito aerospaziale, della difesa e della sicurezza; produce jet militari, elicotteri e munizioni, ed è partner di lunga data dell’esercito italiano. La "Nuova via della seta" non serve ad aumentare il traffico di merci verso la Cina, ma ad aumentare le esportazioni di Pechino verso il resto del mondo, oltre che la sua influenza politica e sociale. Infatti uno dei principali obiettivi a lungo termine stabiliti da Xi Jinping per la Cina comunista è il cosiddetto Made in China 2025 (di cui il regime cinese non ha più parlato dopo l’inizio della guerra commerciale con gli Stati Uniti), un piano economico che mira a ridurre drasticamente le importazioni di merci straniere entro il 2025. "I Paesi che fanno accordi di questo tipo con la Cina finiscono per importare più prodotti cinesi, non per esportare di più", ha dichiarato Luttwak, sottolineando che "i cinesi non importano dall’estero quello che possono fare in casa loro". Un articolo pubblicato dal Blog delle Stelle, il magazine ufficiale dell’M5S, afferma per l’appunto che il movimento vuole "aiutare le nostre aziende a esportare il Made in Italy, le nostre eccellenze, il nostro know-how in un mercato che in questo momento ce lo chiede". Peccato che una volta acquisito il know-how sufficiente, la Cina non avrà più alcun interesse ad importare merci italiane, che verranno prodotte in Cina con costi e prezzi inferiori. Per ridare impeto all’economia, secondo Luttwak, "l’unica ricetta che serve all’Italia è meno tasse, regole più semplici sul lavoro, finanza privata per opere pubbliche". Inoltre, Per completare il corridoio marittimo della Nuova Via della Seta, Pechino ha bisogno di uno sbocco vicino al cuore dell’Europa centrale: per questo è fortemente interessata ai porti di Genova, Trieste (perché è l’unico porto europeo che gode di extraterritorialità doganale), Palermo, Ravenna. Che si aggiungerebbero al gruppo degli altri porti europei controllati dalla Cina (Pireo, Rotterdam e Anversa). Il Portogallo invece ha  concesso  lo sbocco nel porto di Sines, sulla costa meridionale e poco distante dallo Stretto di Gibilterra che la Cina comunista userà sicuramente in funzione anti-britannica. Il timore sui porti è che la sicurezza italiana potrebbe essere messa a repentaglio (insieme alla collocazione atlantica dell’Italia) dalle attività cinesi, perché i porti alla Cina potrebbero servire, al di là degli interessi commerciali, agli scopi militari. La Cina potrebbe sviluppare nei porti commerciali strutture che servono per i suoi obiettivi strategici. In un intervento sul ‘Corriere della Sera’  Xi Jinping, riservava un passaggio sui risvolti geopolitici dell’accordo, affermando: "Lavorando insieme, promuoveremo i nostri interessi comuni, sosteniamo il multilateralismo e il libero scambio e salvaguardiamo la pace, la stabilità, lo sviluppo e la prosperità del mondo». Dichiarazione che ha tutta l’aria di un invito provocatorio proprio su quel che Conte escludeva, ovvero lo spostamento dell’Italia dalla sua collocazione atlantica. Cosa che noi anticomunisti non ammettiamo e non accettiamo. Siamo e saremo sempre avversari giurati della Cina comunista. Riprendendo il filo principale del discorso, i presidenti di Confcommercio e Conftrasporto avevano scritto una lettera (rimasta, a quanto ci risulta completamente inascoltata) indirizzata al presidente Giuseppe Conte e al ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Danilo Toninelli per invitare il governo alla massima prudenza in merito all’accordo Italia-Cina: "L’Italia sarebbe l’unico Paese di particolare rilevanza a siglare un’intesa, considerato che, sempre di più, l’Unione europea evidenzia il disegno egemonico sotteso a tale progetto […] Se poi dovessimo aggiungere la perdita della piena sovranità nazionale sulle infrastrutture strategiche portuali e ferroviarie, rischieremmo di pregiudicare quell’economia del mare che è fondamentale per il nostro Paese". Saggiamente il precedente ministro degli Interni, Matteo Salvini, aveva invitato alla prudenza menzionando l’acquisizione cinese del porto greco del Pireo e le conseguenze che sta avendo in termini di condizionamento e presenza cinese in Grecia. Aveva aggiunto "Io prima di permettere a qualcuno di investire sul porto di Trieste o Genova ci penso, non una, ma cento volte". Non ci risulta che il presidente Conte e il ministro Di Maio abbiano ascoltato e recepito l'osservazione di Salvini. In merito all’intera "Nuova via della seta", il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia (secondo una logica apolitica su cui i comunisti cinesi puntano assai) aveva dichiarato: "È un’opportunità se puntiamo su un’industria forte che va anche a vendere in Cina e non trasformiamo l’Europa in un continente di consumatori che comprano solo prodotti cinesi. Servono degli accorgimenti; per esempio il porto di Trieste è un asset strategico del Paese e non può essere parte di una società dove ci sono dentro altri Paesi". Purtroppo, le cose non stanno affatto in questo modo. Secondo uno studio pubblicato il 4 marzo 2018 dal Center for Global Development, la Belt and Road Initiative (Nuova Via della Seta) ha trascinato intenzionalmente molti dei Paesi coinvolti nell’iniziativa in una ‘trappola del debito’, con l’obiettivo di renderli di fatto vassalli del regime comunista cinese. La Banca degli Investimenti Cinese per le Infrastrutture (Aiib) ha infatti finanziato la costruzione di grandi opere infrastrutturali legate alla Nuova Via della Seta, elargendo ‘generosi’ prestiti a molti Paesi; tuttavia, in diversi casi le conseguenze sono state drammatiche. Citando Cnbc e Cnn lo studio afferma che, tra i 68 Paesi che si sono impegnati a collaborare con il Partito Comunista Cinese, 23 si sono trovati rapidamente in uno stato di grave indebitamento. Per esempio, lo Sri Lanka a causa dell’impossibilità di onorare il debito contratto con il partito comunista cinese, è stato costretto a cedere i diritti di controllo dell’importantissimo porto di Hambantota ai cinesi già a dicembre 2017. Il Financial Times ha scritto che il porto di Hambantota è costato 1,3 miliardi di dollari ed è stato costruito da un’azienda statale del partito comunista cinese. Da quando ha aperto, il bilancio del porto è stato sempre in rosso. Lo Sri Lanka quindi, non potendo in alcun modo saldare il debito, ha dovuto firmare una concessione della durata di 99 anni alla Repubblica Popolare Cinese, con evidenti ripercussioni sulla sua sovranità nazionale. Secondo lo studio, otto nazioni (Pakistan, Gibuti, Maldive, Laos, Mongolia, Montenegro, Tagikistan e Kirghizistan) delle 23 che si sono già fortemente indebitate con Pechino, dovranno affrontare presto una crisi del debito pubblico. In particolare gli Stati che rischiano maggiormente sono quelli più piccoli e meno forti economicamente. Purtroppo, come vediamo ogni giorno, la condizione dell’Italia non è diversa rispetto a quella dei Paesi satelliti di Pechino che sono già caduti nella "trappola del debito" cinese. Pur essendo la terza economia più importante dell’eurozona; l'Italia ha già un enorme debito pubblico, il terzo più elevato al mondo. Riassumendo, il progetto “New Silk Road”, o “Belt and Road”, è una delle più importanti iniziative di politica estera e commercio di Xi Jinping. Certamente, combina elementi di un progetto commerciale (o di crescita economica), insieme a un progetto politico. Per molti decenni dopo che la repubblica popolare cinese fu istituita nel 1949, la Cina si isolò dai sistemi commerciali e politici internazionali. La rottura con l’Unione Sovietica negli anni Sessanta ha eliminato le interazioni economiche della Cina con molti paesi comunisti dell’Europa orientale, lasciandola con un numero ancora minore di partner commerciali. Durante questo periodo gran parte del coinvolgimento della Cina negli affari del mondo si riferiva al suo sostegno a movimenti rivoluzionari come il sostegno che forniva ai comunisti in alcuni paesi del sud-est asiatico. Dopo che purtroppo la Cina ha iniziato a uscire dal suo isolamento negli anni Settanta, ha iniziato a riunirsi in organizzazioni internazionali a partire dalle Nazioni Unite e nel 2002 è diventata membro dell’Organizzazione mondiale del commercio.Tuttavia, la Cina ha assunto di rado un ruolo di guida nelle organizzazioni internazionali, sebbene fosse apertamente contraria a qualsiasi indagine nei suoi affari interni. Negli ultimi anni, iniziando con Hu Jintao e accelerando sotto Xi Jinping, la Cina ha iniziato a cambiare il suo ruolo all’interno delle organizzazioni internazionali. Almeno per le questioni commerciali, la Cina è sempre più un sostenitore delle organizzazioni internazionali e degli accordi multilaterali, usandole, dapprima quali cavalli di Troia e, succesivamente, come grimaldelli. Di fatto, ha già avviato o sta negoziando molti accordi commerciali bilaterali o multilaterali. Altri tipi di organizzazioni internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità o  Interpol, sono diventate anche entità in cui la Cina ha assunto un ruolo di leadership di alto profilo. Soprattutto, si tratta di bloccare le indagini sugli affari interni della Cina, e spesso è anche quello di garantire che Taiwan (ovvero l'unica Cina per noi legittima, quella nazionalista) non partecipi come membro a nessuna organizzazione internazionale che richiede statualità. Perciò, il progetto Belt and Road è un altro esempio della Cina che cerca di affermare un ruolo di leadership globale. Per questo la Cina potrà strumentalizzare ed usare l'Italia per incoraggiare altri paesi a sottomettersi e diventare un satellite cinese com'è l'Italia. Per dirla semplicemente, la Cina sarà in grado di dire ad altri paesi: “L’Italia, un paese del G7 e una delle più grandi economie del mondo, è un partecipante, quindi non c’è nulla da temere”. In Cina esiste una percezione che, tra i paesi del G7, l’Italia soffra ancora delle conseguenze economiche e politiche della crisi finanziaria del 2008. Questo rende l’Italia un obiettivo logico per la Cina. Trasformare l’Italia in un cavallo di Troia di Pechino. Lo vedremo, anche se speriamo di non vederlo mai, quando l’Italia (diventata un fantoccio nelle mani del ventriloquo Xi Jinping) sosterrà (o si opporrà)  in organizzazioni internazionali a vantaggio della Cina e contro gli Stati Uniti. Il presidente Conte e il ministro Di Maio non hanno scuse per aver negoziato un cattivo affare con la Cina. Gli obblighi legali dell’Italia nei confronti  della NATO, e gli Stati Uniti, sono cruciali per il ruolo dell’Italia , e noi anticomunisti atlantici intransigenti  non vogliamo che il governo Conte lo comprometta. Vogliamo in qualsiasi modo o maniera per l'Italia un governo che cancelli gli indegni accordi con lo stato - canaglia comunista.

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