domenica 3 maggio 2020

Le mascherine, la Cina e la giacca di Mao Zedong



Gli esponenti del governo di centro-sinistra presieduto da Giuseppe Conte (in quota Movimento Cinque Stelle) affermano che con le mascherine gli italiani dovranno conviverci. E non solo per qualche settimana. Perciò, l’oggetto simbolo della pandemia di coronavirus rischia di diventare parte della quotidianità. Lo dice Pierpaolo Sileri, il viceministro alla Salute anche lui in quota M5S. Il quale, dice: “Dovremo investire in educazione, abituarci all’uso delle mascherine, che sono in arrivo. Ne serviranno milioni”. E poi ancora: “bisognerà convivere con il virus e con il distanziamento sociale fino al vaccino”. Se è vero, come va dicendo buona parte della comunità scientifica internazionale, che di un vaccino non si parla prima di sei mesi-un anno, allora gli italiani devono davvero mettere in conto di fare della mascherina una compagna fissa, almeno per i prossimi mesi, della loro quotidianità. Né sono migliori le previsioni del medico-viceministro sul primo, parziale allentamento della quarantena. Si potrà uscir di casa, con le dovute giustificazioni, “dopo il 4 maggio”, ma con il rischio di un pronto rientro a casa se riscresceranno i contagi. Tant’è che sia gli esponenti del governo che i cosiddetti “esperti” ammettono che è possibile il verificarsi di nuovi focolai. Mentre, Roberto Burioni, virologo dell’Università San Raffaele Vita-Salute e star del web, ha sentenziato senza dubbi ai microfoni di Adnkronos Salute: “Nei prossimi mesi dovremo girare tutti con le mascherine”. aggiungendo che “saranno presidi fondamentali nei prossimi mesi”. Non si riferisce solo alle mascherine Ffp2 e Ffp3, dotate di una valvola e assai poco reperibili sul mercato. Ma, anche, sempre secondo Burioni, le mascherine chirurgiche usate da infermieri e pazienti sono un antidoto contro il Covid-19, “ostacolano tantissimo la sua diffusione”. Dunque, di lasciare a casa la mascherina per ritornare all’aria aperta neanche se ne parla. Perciò, ha spiegato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio: l’Italia ha bisogno di 90 milioni di mascherine, al mese. E, infatti da settimane è in corso un lavoro frenetico per recuperare forniture dall’estero con la regia della Farnesina, della Protezione civile di Angelo Borrelli e la struttura del commissario Domenico Arcuri. A questo proprosito il governo Conte ha stipulato,tra la fine del marzo 2020 e l’inizio di aprile, una commessa da 180 milioni di mascherine dall’azienda cinese Byd che è costata 209,5 milioni di euro. La Byd (acronimo di Build your dreams) è il settimo costruttore automobilistico cinese ed è specializzata nelle auto elettriche. Da tre mesi però ha avviato una radicale riconversione della sua produzione, divenendo il primo produttore al mondo di mascherine contro il coronavirus. A lavorare per il contratto del governo italiano con la Byd sarebbero stati in particolare l’ambasciatore italiano in Cina Luca Ferrari (del quale abbiamo già accennato a proposito dei rapporti economici tra l’Italia e la Cina comunista) e il suo predecessore Ettore Sequi, oggi capo di gabinetto della Farnesina, sotto la regia dello stesso ministro degli Esteri. Chiaramente, Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, per parte sua, ha difeso la linea della Farnesina. “Non è il momento delle polemiche perché senza acquisti dall’estero sarebbe impossibile fronteggiare il nostro fabbisogno di oltre 100 milioni di mascherine al mese”. Si deve anche affermare che spesso quelli che in realtà sono acquisti del governo Conte sono stati indicati da una parte della stampa e dei telegiornali come “donazioni”. Il caso delle forniture cinesi ha fatto particolare rumore non solo perché a queste è stata data particolare risonanza, con una imponente campagna dei media di Stato cinesi. Funziona così il sistema comunista cinese. Prima gestisci malissimo un’epidemia che si diffonde e diventa pandemia. Poi racconti di essere un modello per la lotta contro il virus e ti premuri di esportare il virus stesso in tutto il mondo in una maniera tale da meritare un’emarginazione internazionale (e, persino, affermiamo noi, una revoca del seggio al Consiglio di Sicurezza alle Nazioni Unite) . E, dopo, vendi mascherine per proteggersi dell’infezione a caro prezzo: 209,5 milioni di euro. Successivamente, dopo l’azione dei tuoi media di regime, ti avvantaggi della propaganda degli organi di stampa e televisivi italiani infeudati al centrosinistra al governo. A uso e consumo della propaganda di Pechino, decisa a sfruttare la pandemia per ripulirsi coscienza e immagine prima, per invadere un Italia in crisi economica con le sue esportazioni. Non vorremmo, insomma, che insieme alle mascherine, agli italiani venisse fatta indossare anche la giacca verde di Mao Zedong, simbolo del comunismo cinese. Ed è un simbolo mai veramente dismesso. L’attuale presidente Xi Jinping l’ha solo fatta tingere di blu e vi ha aggiunto il bavero e lacravatta. Infine un’impressione, ovviamente non suffragata da alcun elemento concreto: in quest’insistenza sulle mascherine e sui guanti quanto è importante l’aspetto commerciale con la Cina comunista? A noi non piacciono né le casacche verdi maoiste, né quelle rosse sovietiche.

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