domenica 3 maggio 2020

Al caffè comunista preferiamo l’espresso nazionale



Lavazza, il marchio italiano, anzi torinese, del caffè, da due miliardi di fatturato, ha fatto un passo deciso verso la Cina comunista. Attratta dal mercato cinese per il consumo di quella che è una delle bevande caratteristiche dell’Italia: il caffè nero, l’espresso nazionale. La mossa, a dire il vero in preparazione da oltre un anno, è stata annunciata il 29 aprile 2020, con la firma a Shanghai di una joint venture (ossia, un contratto con cui due o più imprese si accordano per collaborare al fine del raggiungimento di un determinato scopo o all’esecuzione di un progetto) tra Yum China Holdings e il gruppo italiano che ha l'obiettivo di esplorare e di sviluppare il concept dei coffee shop Lavazza nel mercato della Cina comunista. L'alleanza è stata propiziata dalla consulenza dello studio legale Dentons, uno dei maggiori network legali al mondo, il principale Cina comunista, dove ha uffici in 45 città. Il progetto prende il via con l'apertura di un nuovo flagship store (ossia, un punto vendita, in parole semplici, un negozio) Lavazza a Shanghai. l’altro soggetto della partnership, cioè Yum China è cresciuta in maniera importante nel mercato cinese: nel 2019 i suoi marchi hanno venduto 130 milioni di tazzine di caffè nel paese comunista. Da tutto ciò è nata la decisione di Lavazza di allearsi Yun China. Ora, ci diranno che “gli affari sono affari”, però, ci sembra questa scelta, sia preparata da lungo tempo brilli per intempestività. Innanzitutto, perché in Italia l’epidemia causata dal coronavirus sta diffondendo pienamente i suoi effetti mortiferi. Epidemia questa che, lo ricordiamo, è nata nella Cina comunista, a Wuhan, ed è bene non scordarlo. E, a dirlo (a scanso di accuse di sinofobia che non starebbero né in cielo, né in terra: siamo visceralmente anticomunisti; non sinofobi) non siamo noi. Ad affermarlo è Joshua Wong, Il leader delle proteste anticomuniste a Hong Kong: “Siamo di fronte a una pandemia che avrà effetti devastanti sulla salute e l’economia globale. La speranza è che, almeno, getti luce sulla vera natura del governo cinese”. Perciò, al minimo, l’apertura del nuovo coffee shop Lavazza, a Shanghai, appare alla nostra sensibilità di anticoomunisti, come una pratica legittimazione del governo comunista cinese. E, ci sembra grave e triste, allo stesso tempo, visto che non solo il virus ha infettato tutta l’Europa (e si è fatto strada in Asia, America, Africa), ma, nel nel Vecchio Continente, è l’Italia a pagare il prezzo più alto. Ed è un prezzo tragicamente altissimo e, per più d’una ragione. La prima è, chiaramente, il numero dei contagi e delle vittime, secondo soltanto, appunto, alla Cina. Questo è il primo e fondamentale motivo, sia etico che politico, per cui ci sembra inopportuno, se non inaccettabile, l’apertura del flagship store Lavazza a Shanghai. Però, non è l’unico. Aggiungiamo che, a causa di quest’epidemia il nostro popolo, il popolo italiano è costretto alla reclusione domiciliare, alla disoccupazione forzata, al dover indossare quasi permanentemente una maschera sul volto. Sulle responsabilità gravissime sia del governo comunista cinese che del governo italiano di centro-sinistra ci diffonderemo (come sugli altri argomenti qui sfiorati) nei prossimi articoli. Quello che ribadiamo, in chiusura, è che, per le ragioni di cui sopra, la scelta di aprire un punto vendita del caffè Lavazza, a Shanghai, nel cuore della Cina comunista, è una decisione sbagliata. Come lo sono quelle di altre aziende italiane che disapproviamo: da Bonfiglioli a Bracco, a Piaggio. Come è sbagliata, alla luce della tragedia in cui gli italiani si dibattono, la frase pronunciata proprio ieri, il 30 aprile 2020, dall’ambasciatore italiano in Cina, Ferrari: “La Cina sarà il mercato di riferimento nel prossimo futuro”. E, il futuro del popolo italiano quale è, signor ambasciatore? Quello di vivere da povero disoccupato? Quello d’essere relegato in casa? Quello di vagare bardato in città semi-deserte? Noi non lo accettiamo. Noi il caffè made in China, non lo vogliamo. Vogliamo l’espresso esclusivamente nazionale.

Nessun commento:

Posta un commento